Perchè l’autoritarismo va di moda? Parte prima: la società.

Stimolato dal tag di un amico su un estratto di un libro di Bauman, “Retrotopia”, mi viene da dire qualcosa sull’attuale grande ritorno in voga dell’autoritarismo.
Di questi tempi, misure spicce e leggi draconiane vanno alla grande: sia da destra che da molta “sinistra” si torna a rimpiangere il pugno di ferro, il mantenimento delle libertà civili non sembra interessare nessuno e pure il suffragio universale viene messo in discussione.

A guardare al passato, sembrerebbe che tale processo sia inevitabile: basta leggere la storia delle città-stato dell’antica Grecia, dove la democrazia si trasformava in oligarchia e poi in tirannide per poi ricominciare il ciclo. Ma davvero non esiste una via di uscita? Le società umane sono condannate da qualche legge di natura a percorrere questo ciclo in eterno, e quindi tanto vale rassegnarsi alla dittatura prossima ventura?

Mentre una ribellione contro una dittatura sembra un fatto piuttosto “naturale”, i motivi per cui una società tende ad una dittatura non sono di immediata comprensione. Diamo quindi un’occhiata (semplicistica e semplificatoria, beninteso) a cosa è successo negli ultimi decenni nella società italiana.
Basta leggere un po’ di storia, o anche solo parlare con gli attuali 70-80enni per scoprire che fino agli anni ’50 in Italia (e anche nel resto dell’Occidente) il modello sociale era ancora molto rigido, basato sul trittico “regole, gerarchie e punizioni”. E’ un modello che in generale si regge su uno scambio: si baratta la rinuncia alla libertà con la sicurezza. Il cittadino è incasellato, ma ha delle certezze. Se sta alle regole ha il suo posto nella società e l’esistenza assicurata, un po’ come nel caso del padrone che si adopera affinchè lo schiavo rimanga “efficiente”.
Per durare nel tempo e vincere il confronto a distanza con il modello sovietico, una simile società doveva però anche prospettare un miglioramento delle condizioni di vita che rendessero “accettabili” le differenze gerarchiche : tu, spazzino, avrai sempre di meno del dirigente, ma sai che la tua condizione migliorerà nel tempo e che i tuoi figli, grazie all’istruzione pubblica gratuita, potranno progredire socialmente e riscattare il tuo sacrificio… quindi, ti conviene stare al tuo posto e giocare secondo le regole.

Con il progredire del benessere e dell’istruzione si aprirono nuovi orizzonti: la sicurezza e il necessario per la sopravvivenza venivano sempre più dati per scontati, mentre cresceva il desiderio di maggiore libertà e, non trascurabile, di divertimento. In Italia, il modello sociale fondato sull’obbedienza e la gerarchia ha cominciato a crollare a partire dagli anni ’60: uno dei primi segni è stata la diffusione improvvisa della musica rock. che spazzò via in un battibaleno la vecchia musica melodica, per arrivare poi al 1968 che è l’anno di riferimento di questo crollo, non solo in Italia.

Però: cosa è nato dalle rovine del vecchio modello sociale? Oggi è facile vederlo: la reazione contro l’impacchettamento e il conformismo si è tradotta fondamentalmente in un “liberi tutti”. Dietro ai (relativamente pochi) studenti che parlavano di alti ideali di liberazione collettiva, c’erano legioni di persone che in questo nuovo contesto erano interessate fondamentalmente solo ad una vita migliore per sè, a svincolarsi dalle costrizioni sociali e familiari ed essere più libere dai condizionamenti del mondo esterno.
Svaporati gli alti ideali dei periodi caldi, la nuova libertà si è così tradotta rapidamente in disinteresse per il prossimo: non solo ognuno ha il diritto di fare quello che gli pare, ma è anche (soprattutto) libero di fregarsene degli altri… e questo individualismo non ha mancato di mostrare presto le sue conseguenze negative.
Dopo un periodo di “digestione” del ’68 e della sua spinta ideale,  c’è chi ha cominciato ad approfittare delle nuove opportunità offerte dal crollo delle rigidità sociali per farsi gli affari propri. Ovviamente, in un “liberi tutti” chi ha di più da guadagnare è sempre il più forte: non è quindi un caso se le disuguaglianze sono cominciate nei primi anni ’70, come mostrato dal famoso grafico (relativo agli USA) in cui si vede che intorno al 1975 è cominciata una forte differenziazione della crescita dei redditi.real-family-income

Da lì, il percorso è semplice. Cavalcando a modo loro la spinta libertaria, i più ricchi hanno cominciato ad usare il potere derivante dalle loro crescenti fortune per guadagnare ancora più soldi e potere… finendo fatalmente per adocchiare il grande tesoro di soldi e beni pubblici. In Italia, mentre la gente era (dis)impegnatissima a badare ai fatti suoi, prima si tagliarono le tasse (tra il 1983 e il 1989 l’aliquota massima IRPEF calò dal 72% al 50%), poi lo stato venne pesantemente indebitato (e i soldi finirono in gran parte nel buco nero di Tangentopoli, arricchendo soprattutto le grandi imprese). Poi negli anni ’90 si passò a spremere il limone con il trasferimento delle produzioni all’estero (che ha azzerato il potere contrattuale dei lavoratori) e con i tagli allo stato sociale, fino ad arrivare ad oggi con il grande piano di esternalizzazione e/o privatizzazione integrale di ciò che resta del settore pubblico, in pieno svolgimento. Aggiungiamoci il colossale battage mediatico con il quale si additano i migranti come colpevoli di tutto questo declino e il quadro è completo.
Insomma: in qualche decennio, per le fasce più deboli la libertà si è trasformata progressivamente in una grossa fregatura, in un sostanziale abbandono a se stessi: magari uno su cento ancora “ce la fa”, ma gli altri sono solo liberi di fallire, di perdere status sociale, di vivere nell’insicurezza e nel disagio e di dare la colpa alle persone sbagliate. Ormai isolate e molto diffidenti del loro prossimo, queste persone non sono in grado di ricostruire dal basso, mutualisticamente, delle reti sociali e collettive che servano a tutelarli e l’istinto di sopravvivenza le porta a credere che questa mano salvifica possa arrivare solo dall’alto e dal passato.
A questo punto diventa abbastanza facile spiegarsi la retrotopia, questa tendenza a guardare indietro verso un passato mitizzato. Quelli che vagheggiano il ritorno sono un po’ come il figliol prodigo che rientra a casa pentito: quello che non hanno capito è che nel frattempo il mondo è cambiato, e non ci sarà nessuno che ammazzerà il vitello grasso per festeggiare il ritorno.

Mi viene in mente un vecchio fumetto in cui Paperino e i nipotini, nonostante il proverbio li mettesse in guardia (“chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova”), si lanciavano in una nuova impresa pur di liberarsi dalla tirannia di Zio Paperone. Dopo lo scontato fallimento e il ritorno all’ovile a lucidar monete, la storia si chiudeva con un nipotino che commentava amaro: “…e chi lascia la strada nuova per l’antica, troverà… la solita fatica”.

Prossimamente (prima o poi): un parallelo con il ritorno dell’autoritarismo nell’educazione dei figli, i mille motivi per cui Pieraccioni è un poveretto, e una possibile via d’uscita da questo vicolo cieco.

Informazioni su Alessandro Ferretti

Ricercatore all'Università di Torino, dipartimento di Fisica. Leggo molto, e per compensare ogni tanto scrivo.
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7 risposte a Perchè l’autoritarismo va di moda? Parte prima: la società.

  1. laurastancampiano ha detto:

    E bravo Alex!

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  2. Silva ha detto:

    A proposito di fumetto… un fumetto interessante sul tema e’ ECONOMIX di Michael Goodwin e Dan E.Burr – http://economixcomix.com/

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  3. William ha detto:

    Parti con il bisturi d’improvviso il coltello poi …laser.

    Su questa frase mi sono commosso e hai vinto un premio in boccale con unita’ di misura a piacere.
    Organizzo io e sai chi trovi.
    “L’istinto di sopravvivenza le porta a pensare che questa mano salvifica possa arrivare solo dall’alto o dal passato”.
    Dal passato poi…

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  4. William ha detto:

    Ma una didascalia per il grafico che non costringa al sacrificio?
    Per la prossima intendo, ciao Ale

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    • Il grafico riporta la crescita dei redditi familiari: la linea gialla è la crescita del reddito delle famiglie che sono nel 20% più povero, quello viola è il reddito delle famiglie che sono nel 5% più ricco. Si vede che prima del 1975 crescevano tutti allo stesso modo, ma poi a partire dal 1975 i redditi delle famiglie più povere sono rimasti sostanzialmente gli stessi mentr quello delle famiglie ricche è decollato alla grande..

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  5. Pingback: Il grande ritorno dello sganassone educativo (autoritarismo parte 2) | Alessandro Ferretti

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