Cosa hanno in comune le discussioni sull’indipendenza della Catalogna, le birre artigianali e la musica balcanica? Fondamentalmente una cosa: sono belle e buone e tutto quanto ma alla lunga… hanno rotto i c……i. Mentre però sulle birre artigianali e sulla musica balcanica c’è già un ampio consenso, sulle discussioni sulla Catalogna vale la pena elaborare un minimo. Quello che mi è fastidioso non è tanto il merito del discorso, ma il metodo con cui viene spesso portato avanti: a botte di similitudini, che è un po’ il male delle discussioni politiche attuali
Ormai il modo in cui si comunica è ancora più importante di quello che viene comunicato, e per parlare di politica la tecnica di moda è quella di fare paragoni. Quando c’è un fenomeno nuovo di cui parlare, invece di sviscerarlo per capire ciò che è realmente si cerca qualcosa che gli assomigli in qualche modo e che sia già chiaramente connotato positivamente o negativamente, a seconda della bisogna. Una volta forzata l’identificazione, il tutto si riduce ad una presa di posizione binaria: buono, nobbuono. In questo modo si polarizzano le discussioni e, preparato così il terreno, ci si può dedicare allo sport preferito del momento (la lotta libera nel fango).
Succede un po’ con tutto: ad esempio, a sinistra c’è l’abitudine di etichettare tutto come fascista facendo richiami storici un po’ a rampazzo e trascurando le enormi differenze storiche e di contesto. Il risultato è che nessuno ragiona più sulle cose reali e la complessità scompare all’orizzonte, impedendoci di avere la profondità che serve per interpretare il mondo e quindi togliendoci la possibilità di cambiarlo. Nel caso della Catalogna il problema è particolarmente evidente: c’è chi paragona la Catalogna al Lombardo-Veneto (quindi indipendenza=male), chi la paragona ai Paesi Baschi e al Kurdistan (quindi indipendenza=bene)… il tutto con l’apporto di nozioni storico-geografiche parziali e mal contestualizzate, al punto che ognuno si cucina la sua particolare metafora e poi si getta nell’arena a difenderla a colpi di bignami, tipicamente in ottica manichea.
Se vogliamo portarci a casa qualcosa da queste (a volte surreali) diatribe, è che dovremmo evitare di usare indiscriminatamente le metafore come chiave interpretativa del mondo; perchè più che chiavi che ci danno la possibilità di far scattare serrature stanno diventando piedi di porco che scardinano la porta e pure gli infissi. Nel caso della Catalogna non è tutto bianco o nero e non c’è alcun obbligo di valutare torti e ragioni allo scopo di arrivare ad una presa di posizione binaria e netta. Parliamone pure, ma con lo scopo di capire e non di schierarsi, abbracciando la complessità invece che facendola artificialmente sparire.
Diciamo che oggi, dopo aver letto tutta la lunga sfilza di messaggi causa del silenzio su fb, capisco meglio il succo della critica alla metafora di questo post. Fiera di me per avere, nell’ordine, per istinto non aver mettoato in alcun luogo; mantenuto aperta la mente al dubbio e quindi preferito leggere che rispondere; avere colto gli aspetti positivi di alcune delle critiche più profonde al post su facebook;, essere rimasta dell’opinione iniziale che, al di là di alcune criticità, nella sostanza il post diceva cose vere e incisive che, soprattutto, mettevano in discussione la plastificazione della realtà dettata da questa vicenda, da slogan e… da alcune metafore costruite per semplificarla.
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