Il grandissimo successo del discorso di Joaquin Phoenix agli Oscar è sotto gli occhi di tutti: ma le migliaia di post, retweet e like, le lodi sperticate da parte di tutti i media non dichiaratamente di destra sono estremamente rivelatrici e non tanto per il contenuto del discorso, ma soprattutto per quello che in questo discorso manca. Per chi non l’avesse letto, mi riferisco a questo passaggio:
“Penso a volte che sentiamo o ci fanno sentire che lottiamo per cause diverse. Ma per quanto mi riguarda, vedo condivisione. Penso che, sia che parliamo di disuguaglianza di genere o razzismo o diritti Lgbt o diritti degli indigeni o degli animali, stiamo parlando della lotta contro l’ingiustizia. Stiamo parlando della lotta contro l’opinione che una nazione, un popolo, una razza, un genere, una specie, ha il diritto di dominare, usare e controllare un’altra con impunità”
Perchè questo discorso piace tanto? In fondo sono cose già lette: però qui Phoenix fa un appello ad un sentimento forte, quello della condivisione. Ci parla di un mondo in cui la lotta alle ingiustizie è una lotta che ci accomuna, che può e deve essere condivisa da tutti gli uomini “di buona volontà”: è un discorso che crea identità ed evoca una comunità, e sappiamo bene quanto questi immaginari siano potenti.
Ma ciò che è rivelatore è un’altra cosa: nell’elenco delle disuguaglianze ne manca una fondamentale. Non è una semplice dimenticanza, *deve* mancare: se ci fosse, manderebbe a pallino tutto il fascino del discorso. Manca infatti nientemeno che la disuguaglianza sociale: ed è altrettanto ovvio che all’elenco “una nazione, un popolo, una razza, un genere, una specie” bisognerebbe aggiungere, semplicemente, “una classe sociale”.
Questa mancanza così eclatante, una volta notata, è rivelatrice: ci fa capire che questo discorso così ispirato ed universale è in realtà un discorso di parte, di una parte che preferisce ignorare l’esistenza stessa della questione sociale. È un discorso fatto da (e rivolto a) benestanti relativi: persone che hanno (o credono di avere) più denaro, più cultura, più potere della media, persone che se si citasse anche solo di sfuggita la diseguaglianza sociale e di censo sarebbero immediatamente in conflitto di interessi e di coscienza, e in debito di credibilità.
Il mondo del discorso di Joaquin Phoenix è proprio il mondo della “sinistra” che in Italia e altrove ha consegnato le istanze dei più deboli in mano alla destra. E’ il mondo che si indigna (giustamente, eh!) per il trattamento delle donne, dei neri, dei lgbt, degli indigeni, degli animali ma che si “dimentica” clamorosamente delle ingiustizie subite dai meno abbienti e dei meno colti, ovvero di categorie spesso talmente vicine a noi che serve tutto un castello di giustificazioni e distrazioni per riuscire ad ignorarle.
Per quanto riguarda le giustificazioni, la più grande trovata è stata di sicuro la meritocrazia: chi ha meno è semplicemente perchè merita meno, quindi non ha titolo per reclamare niente e io non mi devo sentire in colpa per il fatto di stare meglio di lui. I benestanti relativi, per tacitare la loro coscienza e sentirsi “dalla parte giusta” dell’umanità, sono dispostissimi a firmare petizioni o a fare donazioni contro le ingiustizie “lontane” di cui sopra e sono perfino disposti ad andare a fare un giro in una piazza con un pesce di carta attaccato al collo, ma col cazzo che si battono per redistribuire ricchezza e potere. Guai a toccare la loro posizione sociale.
Il fatto che tante degnissime persone abbiano postato il discorso di Phoenix senza nulla eccepire è l’ennesimo allarme rosso: è l’ennesimo segnale inequivocabile del successo pervasivo della “cultura di sinistra” inoculata da intellettuali e media in una classe che, da parte sua, non vedeva l’ora di potersi liberare dei sensi di colpa derivanti dalla sua superiore posizione sociale. La “cultura di sinistra” dei giorni nostri fa esattamente questo: fa sentire bene i relativamente ricchi senza mettere in discussione i loro privilegi, ovviamente il tutto a maggior gloria di chi è veramente ricco sfondato.
Dato che è oggettivamente difficile riuscire ad ignorare completamente la disuguaglianza sociale, questa cultura ha i piedi di argilla e per sopravvivere ha continuo bisogno di spauracchi che spostino il discorso: il Salvini, il razzista, il maschio femminicida, l’omofobo, l’antisemita, il torturatore di animali, il novax, il negazionista etc. Di nuovo, non è che questi spauracchi non esistano o che non vadano stigmatizzati: ma lo strombazzamento compulsivo dei fatti di cronaca di cui sono responsabili non è mai finalizzato ad individuare le cause sociali di certi fenomeni, bensì a nasconderle dietro un generico “sono gente cattiva”, facendo così sentire per contrasto “buona” un’opinione pubblica che in realtà non vede l’ora di essere distratta dalle questioni sociali. Non a caso, sulle varie pagine sardiniche i post con centinaia o migliaia di like sono quelli che denunciano episodi che hanno come protagonisti i cattivi di cui sopra, mentre la foto con il Benetton ricco sfondato che devasta intere regioni ed intere popolazioni non suscita neanche un decimo dell’indignazione.
Il successo del discorso di Joaquin Phoenix è in definitiva la dimostrazione che Malcolm X ci aveva visto giusto, quando affermava che i media sono perfettamente in grado di far odiare gli oppressi e far amare gli oppressori. Il fatto paradossale che tanti degli estimatori del discorso da Oscar abbiano prima o poi postato anch’essi questa citazione ci fa capire una volta di più che siamo di fronte ad un caso clinico. Questa parte della società non può essere salvata con proposte politiche razionali, perchè quello che vuole fare è semplicemente ripulirsi la coscienza mantenendo i privilegi: più che un caso politico, i sedicenti sinistri sono ormai solo un difficile caso psicologico di cui non si può immaginare altra fine che non sia una violenta collisione contro il muro della realtà.