Ormai i miei contatti FB sono divisi in due: metà odia chi esce di casa, l’altra metà odia chi si arrabbia con chi esce di casa. Alla fine il risultato è il medesimo, sono tutti incazzati.
Io, da parte mia, confesso che capisco perfettamente l’incazzatura di quelli che odiano i runner. Pensate alle persone che hanno paura del contagio e che non capiscono nulla di virologia, che cercano in ogni modo di non uscire per giorni nell’interesse proprio ed altrui, oppure che sono obbligati ad uscire per andare a lavorare, o che hanno i loro cari anziani reclusi per mille motivi, e che poi vedono ‘sti tizi con le tute fluo che corrono ovunque manco dovessero salvare il mondo.
Capisco anche l’incazzatura di quelli che fanno un’ora di coda per fare la spesa e quando entrano sentono i cassieri commentare :”Hai visto Tizio? Da quando c’è il virus viene a comprare due volte al giorno”. Mi paiono incazzature perfettamente naturali, anzi dirò di più: fanno incazzare anche me.
D’altra parte, se poi faccio un bel respiro, conto fino a dieci e rifletto, mi rendo conto che in verità ho poco da incazzarmi: se il runner sta ben lontano dalle persone, che problema mi crea? E poi: io che ne so di chi è Tizio e dei problemi che ha? C’è gente che abita sola, che non ha interessi culturali, per cui la vita senza socialità non ha senso e che va fuori di melone. In fondo che mi cambia se aspetto due minuti in più? E poi, cos’è più pericoloso? I runners o le migliaia di persone che sono obbligate ad andare a lavorare, spessissimo senza protezioni adeguate?
Però queste riflessioni le faccio da una posizione di relativo privilegio: ho uno stipendio (per ora) garantito, una casa comoda, una famiglia adorabile, strumenti culturali sufficienti per farmi amare la lettura ed altre attività indoor.. e non sono obbligato a rischiare il contagio per lavorare. Così è nettamente più facile, contare fino a dieci e riflettere: molti questi privilegi non li hanno, hanno paura per sè e per i propri cari e dopo un po’, all’ennesimo runner fluo, comprensibilmente sbottano. È umano. Quindi, se non ha senso prendersela con i runners, che senso ha scagliarsi con chi ce l’ha con i runners?
Morale della favola: io capisco entrambe le metà, e proprio per questo credo che la cosa migliore sarebbe quella di smetterla di incazzarci tra di noi e di cercare sempre nuove divisioni, nuovi modi per distinguerci dagli altri.
Se c’è una cosa sicura è che in questa situazione ci siamo tutti e per uscirne dobbiamo collaborare. Per collaborare è indispensabile capirsi, e per capirsi è indispensabile metterci nei panni degli altri: cosa alla quale gli ultimi decenni all’insegna dell’individualismo ci hanno disabituato di brutto.
Insomma: proviamoci! Non è che abbiamo molto da perdere, nell’uscire dal nostro guscio psicologico per provare ad immaginarsi quello altrui. E magari, grazie a questo sforzo di comprensione reciproca, potremmo anche scoprire insieme che c’è qualcuno, più in alto di noi, che ancora oggi pretende che tante persone vadano al lavoro per produrre roba inessenziale, mettendo gravemente a rischio la salute di tutti… e troveremo finalmente un bersaglio degno della nostra rabbia.
Colonna sonora consigliata durante la lettura, “Anni ’90” di Mahmood: “Sono stanco di ascoltare con quest’odio nelle vene”