Come ne usciamo? Qualche punto fermo sulla fase 2 dell’epidemia

Mentre ancora dobbiamo sapere fino a che punto il lockdown del 22 marzo è riuscito a contenere il contagio, la domande che tutti si fanno sono due: quando usciamo dalle restrizioni? E soprattutto: come?

Nessuno sa la risposta, ma qualche punto fermo lo possiamo mettere. Ad esempio, una cosa importante possiamo saperla con certezza, ed è l’obiettivo.

L’obiettivo non può che essere uno: riavviare il mondo evitando in modo assoluto di farci ripiombare nel baratro del contagio incontrollato. L’epidemia finora ci ha dato una grande e preziosa lezione, costata assai cara: la salute viene prima dell’economia, e quando la salute non è tutelata l’economia va a picco. La priorità è di non gettare al vento i progressi fatti nel contenimento del contagio, di non ritrovarci da capo.

E’ ovvio quindi che si dovrà fare una riapertura graduale, verosimilmente in ordine inverso a come sono state imposte le restrizioni. Si parte dalle attività produttive e dei servizi, poi alle graduali riaperture produttive si affiancheranno quelle commerciali e quelle ricreative e scolastiche

La chiave di volta è quella di “graduare la gradualità” per scongiurare il rischio di ricaduta. Come fare? Facciamo un esempio.

Cominciamo togliendo la restrizione alle attività produttive, ma non tutta di un botto.  Vanno in fabbrica solo una parte degli operai (tanto i consumatori sono ancora chiusi in casa) e solo fino al punto in cui rimane possible garantire ragionevomente che non avvengano contagi nè sul lavoro nè sul tragitto casa-lavoro. Ovviamente ogni lavoratore dovrà essere dotato di tutte le DPI necessarie, sia sul lavoro che nel tragitto.

Bene: adesso che abbiamo riaperto. come facciamo a capire se è tutto OK, oppure se sta riesplodendo l’epidemia?

Minimizzare i contagi quindi non basta: dobbiamo anche essere capaci ad ìndividuarli qualora si verifichino. Solo così possiamo capire se possiamo procedere con un’ulteriore riapertura, se dobbiamo aspettare o se è meglio fare un passo indietro. Non possiamo permetterci passi ulteriori fino a quando non sappiamo con ragionevole certezza che la prima riapertura sia filata liscia. Quindi, se vogliamo accelerare i tempi della riapertura dobbiamo dotarci di mezzi e strategie che ci consentano di conoscere la situazione del contagio.

Per questo è necessaria una rete di monitoraggio diffusa di tipo medico sui luoghi di lavoro e mezzi di trasporto (ad esempio, misurando della temperatura corporea), e sul territorio tramite i presidi sanitari e i medici di famiglia opportunamente sostenuti e integrati. Loro hanno le competenze necessarie per esaminare persone, valutare i loro sintomi e prescrivere eventualmente un tampone. Ovviamente, deve anche esserci adeguata disponibilità di tamponi per consentire diagnosi rapide ai casi sospetti, e la disponibilità di strutture e procedure sicure per il trattamento dei casi sospetti in attesa di test.

Inutile dire che meglio si individuano i contagiati, tanto più efficace è poi l’azione che può segue: capire dove e come si sono contagiati, ritrovare i contatti, quarantenarli e/o testarli secondo necessità.

Purtroppo siamo ancora ben lontani dall’avere capacità di test su larga scala: quindi, per non fare ripartire il contagio dobbiamo adattare le riapertura alle nostre capacità di diagnosi e tracciamento. Meno siamo capaci a diagnosticare, tracciare e trattare, tanto più graduale e lenta deve essere la riapertura.
Adesso abbiamo una rete di monitoraggio molto imperfetta e pochi tamponi e strutture? Allora riapriamo poco, mettendo in giro solo il numero di persone che siamo in grado di gestire con il sistema attuale.

Naturalmente, il tempo così impiegato va investito per potenziare la rete di monitoraggio, testing e trattamento: abbiamo già imparato molto su questo virus, e questo tesoro di esperienze può essere moltiplicato con investimenti adeguati, che peraltro si ripagherebbero in un baleno. Pensate solo a quanto può valere in termini economici a livello nazionale un mese di attività in più o in meno : il costo delle attrezzature per i test sono briciole in confronto al valore economico del tempo guadagnato e di una ricaduta evitata. Il problema è solo quello di liberare le energie, di dotarsi di attrezzature e strutture, di trovare, formare e organizzare il personale necessario a far funzionare la rete.

Se indirizziamo bene le nostre energie, il tempo gioca a nostro favore. L’attività di ricerca è frenetica: nuovi test, nuove strategie per somministrarli, migliori modelli organizzativi, protocolli di cura, farmaci e vaccini. Ogni progresso potrà accelerare i tempi per arrivare alla nuova normalità senza aver rifatto detonare il contagio e nel tempo più breve.

Insomma, elaborare una strategia ragionevole non sembra impossibile. D’altro canto, individuare la strategia che NON dobbiamo adottare è facilissimo. E’ la strategia di riaprire a ritmi sostenuti, di “rimettersi a correre”, sulla spinta del terrore per i problemi economici e dell’angoscia di chi non ne può più di stare blindato in casa. Questa strategia ci esporrebbe ad un rischio troppo elevato di ricaduta nella situazione di contagio fuori controllo, facendoci tornare indietro di mesi. Sarebbe un esempio da manuale dei clamorosi danni che la fretta ha il superpotere di causare.

Dal basso di quello che ho capito su questo virus, non credo che la rete diagnostica attuale sia in grado di affrontare e monitorare adeguatamente il rischio generato da una riapertura d’un colpo anche delle sole attività produttive, ma magari mi sbaglio.

Una cosa però mi è chiara: mai come oggi i decisori hanno una responsabilità colossale, e mai come oggi hanno il dovere di dare ascolto alle parole dell’implacabile Milo Minderbinder:
“Ho detto lentamente. La fretta è una disdetta, Purvis. La fretta è una disdetta. Se te l’ho detto una volta, devo avertelo detto un centinaio di volte. La fretta è una disdetta.”

Informazioni su Alessandro Ferretti

Ricercatore all'Università di Torino, dipartimento di Fisica. Leggo molto, e per compensare ogni tanto scrivo.
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Una risposta a Come ne usciamo? Qualche punto fermo sulla fase 2 dell’epidemia

  1. Aldo Rizzuto ha detto:

    Mi sembra un articolo pieno di buon senso e da’ utilissimi spunti per una riflessione consapevole
    Sarebbe bello che i nostri politici abbiano una volta tanto il coraggio di imporre le ragioni del popolo a una Confindustria famelica e ignorante

    "Mi piace"

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