L’ennesima gravissima strage nella scuola elementare di Uvalde, negli USA, ci impartisce (a carissimo prezzo) una lezione di cui dovremmo fare tesoro in molti campi.
Il 2021 è stato l’anno con più sparatorie nelle scuole (42) dal 1999, anno della strage di Columbine; quella di Uvalde è stata la 24esima sparatoria scolastica nel solo 2022. Il Washington Post ha stimato che da Columbine in poi almeno 185 studenti sono stati ammazzati a scuola, e 369 feriti: inoltre, oltre 300.000 studenti sono stati testimoni di questi atti di violenza, e possiamo immaginare il trauma da essi subito.
Columbine ha dato l’avvio a miliardi di dollari di investimenti nella sicurezza degli edifici scolastici. Si sono installati impianti di videosorveglianza e controllo degli accessi, metal detectors, recinzioni. Altri dollari sono stati spesi nello studio di tattiche per neutralizzare gli assalitori e nel training di poliziotti, personale scolastico e studenti sull’impiego di tali tecniche.
La scuola di Uvalde era un istituto all’avanguardia in materia, con impianti di sicurezza estesi e aggiornati e periodiche esercitazioni di professori e studenti. Inoltre, solo due mesi prima della strage, la polizia di Uvalde aveva partecipato ad un corso specifico su come affrontare proprio la specifica situazione che si è verificata. Eppure, l’assalitore è riuscito a perpetrare la strage con grande facilità senza neanche prepararsi specificamente per pianificarla.
In risposta a questa ennesima strage si alzano voci che chiedono ulteriori misure di sicurezza: poliziotti armati in ciascuna scuola, porte e finestre antiproiettile ovunque e così via.
Eppure, basta uno sguardo complessivo per capire che insistere ulteriormente sul mero lato “sicurezza” (il cosiddetto “school hardening“) difficilmente porterà i risultati sperati. Ad esempio: infuriano le polemiche sul mancato immediato intervento della polizia, come previsto dai protocolli. ma basta immedesimarsi nella situazione per capire che non basta trovare il protocollo perfetto, bisogna anche che sia praticabile nella realtà. I poliziotti che pattugliano le città americane sono persone umane, che come tutti tengono alla loro incolumità. Non sono degli SWAT, addestrati e attrezzati appositamente per simili situazioni, e sanno che se affrontano un killer armato e spesso suicida il rischio di essere ammazzati è estremamente elevato.. quindi, il loro mancato intervento non solo è umanamente comprensibile, ma è anzi la reazione più probabile di fronte a simili eventi.
Insomma, appare ormai evidente che affrontare il problema dei mass shootings intervenendo sulla sicurezza è una strategia fallimentare. Non solo: le scuole militarizzate e le costanti esercitazioni anti-massacro generano ansia e insicurezza negli studenti e sottraggono fondi a iniziative tese a garantire il benessere psicologico dei ragazz*. L’American Federation of Teachers ha chiesto di interrompere le esercitazioni a sorpresa, citando pesanti conseguenze sui ragazzi che a causa della paura non riescono a concentrarsi in classe o a dormire la notte.
Insomma: si direbbe (che sorpresa, eh?) che provare a fermare i sintomi senza intervenire sulle cause non solo non curi il problema, ma si porti dietro ulteriori conseguenze negative. La mia impressione è che la causa profonda di simili atti non sia solamente la diffusione delle armi, ma un sistema sociale coerente con tale diffusione, in cui gli individui sono sostanzialmente abbandonati a loro stessi dalla nascita alla morte, senza reti di supporto o politiche sociali che diano conforto e prospettive dignitose alle tante persone in difficoltà. Un sistema che genera profondi e diffusi disagi fisici e psicologici che fanno da humus a questi gesti folli. Però, mettere mano alla società ultracapitalistica per renderla più equa e sostenibile è notoriamente un tabù: molto meglio investire miliardi di dollari in sicurezza, che finiscono nelle tasche dei soliti noti a differenza degli investimenti in welfare che finiscono (almeno dovrebbero) a beneficiare chi ne ha realmente bisogno.
E’ ciò che succede con le guerre: creare un sistema di relazioni internazionali equo e inclusivo avrebbe molte più probabilità di garantire la pace rispetto alla corsa agli armamenti di cui oggi siamo testimoni.. ma ormai, anche solo evocare la possibilità di un diverso approccio alla politica estera garantisce l’immediata accusa di filoputinismo da parte dei milioni di benpensanti che ridicolizzano la complessità invocando l’unicità della soluzione militare. Purtroppo, è probabile che, proprio come gli investimenti in sicurezza delle scuole USA, anche questa politica non solo non porrà fine alla guerra, ma finirà solo per aggravarla.