La riforma del pre-ruolo negli atenei e il ponte sul fiume Kwai.

Le reazioni alla riforma universitaria del governo Draghi sono un perfetto esempio delle profondissime trasformazioni avvenute nell’ecosistema universitario di “sinistra” dodici anni dopo la terribile riforma Gelmini.

Da decenni ormai si sa che il problema principale che genera i disastri del precariato universitario è la carenza di fondi e di garanzie per garantire ai futuri strutturati contratti post-doc dignitosi e assunzioni in ruolo tempestive e regolari.
Per mantenere in piedi questo sistema definanziato, il legislatore ha fino a ieri consentito di aggirare il problema offrendo una selva di pessimi contratti precari di varia natura, accomunati dal fatto che erano tutti esenti da tasse sul reddito e contributi in modo da massimizzare il personale a parità di stanziamento.
Si è così generato negli anni un terribile accumulo di precari “storici” che si sono logorati tenendo su la baracca per anni e che molti baroni da tempo vorrebbero giubilare a favore di nuove leve più brillanti e meglio sfruttabili.
I movimenti del mondo di università e ricerca, consapevoli del problema, chiedono quindi da anni a gran voce
1- stanziamenti straordinari per strutturare i precari storici, e
2- nuovi contratti precari con tutele per dare dignità al percorso post-doc.

La riforma Draghi è maleficamente geniale perchè concede il secondo punto, ma facendolo pagare ai precari stessi con migliaia di espulsioni dal sistema universitario.
La riforma, infatti, abolisce tutti i pessimi contratti precari e viene introdotto un contratto di ricerca che è un vero e proprio contratto di lavoro a tempo determinato, con tutti gli oneri fiscali e contributivi del lavoro “vero”.

La cosa è ovviamente meritoria e sacrosanta: peccato però che la riforma contenga una norma tassativa che limita i fondi disponibili per tali futuri contratti: non potranno superare i fondi precedentemente erogati per i soli assegni di ricerca. Quindi, se prima con un certo quantitativo di fondi gli atenei potevano bandire due contratti precari, adesso ne potranno bandire poco più di uno.

Il combinato disposto di queste due norme è una situazione win-win per un governo intenzionato a definanziare l’università e a rottamare i precari: infatti, in questo modo moltissimi precari verranno semplicemente espulsi dagli atenei, e il governo ci guadagnerà pure sopra grazie a una partita di giro, perché molti soldi stanziati dagli atenei torneranno indietro sotto forma di tasse sul reddito.

Ecco: un tempo, una riforma che risulta nell’espulsione di migliaia di precari dall’oggi al domani sarebbe stata duramente contestata dai movimenti di sinistra.. e invece, stavolta non andrà così. Ho scoperto oggi che l’Associazione Dottori di ricerca Italiani (ADI) è stata coinvolta nella stesura di una parte di questa riforma, e che invece di arrabbiarsi per il risultato finale che è appunto espellere migliaia di precari, ritiene che sia complessivamente un successo e debba essere difesa, perchè mettere i contratti tutelati è una cosa di sinistra. Il che è verissimo, ci mancherebbe: peccato che il tetto imposto ai fondi stanziabili per essi porterà ad un’ecatombe di migliaia di persone.

Su una bacheca di un amico ho interloquito con una aderente all’ADI a questo proposito, e mi sono sentito rispondere che tanto i precari venivano espulsi pure prima (sic!) e chi critica la riforma è subalterno alle logiche dei baroni che vogliono mantenere lo sfruttamento dei precari (sic!). Peraltro, quello della subalternità ai baroni è paro paro il discorso che la Gelmini usava per cercare di screditare gli studenti che si opponevano alla sua riforma, e fa davvero specie che adesso sia un’aderente a un’organizzazione sedicente sinistra a riciclare queste penose affermazioni.

C’è da chiedersi come si sia arrivati a questo punto. Io risposte non ce ne ho, ma questa vicenda mi ha fatto venire in mente “Il ponte sul fiume Kwai”. Tale romanzo racconta di un gruppo di prigionieri di guerra inglesi nel teatro asiatico della seconda guerra mondiale, che si ribellano con successo ai giapponesi che vogliono far costruire loro un ponte fondamentale per lo sforzo bellico giapponese, ma mal progettato e con una pessima organizzazione del lavoro.

I giapponesi cedono quindi ai prigionieri inglesi la progettazione e l’organizzazione, e tanto basta per trasformare i prigionieri inglesi nei migliori esecutori possibili cui i giapponesi potessero mai ambire, al punto che difenderanno il ponte da un tentativo di sabotaggio portato avanti dai loro stessi compatrioti.

Il timore che scaturisce da questo episodio è che la marea montante dell’individualismo sia talmente travolgente da far perdere la bussola anche alle persone meglio intenzionate, e questo valga soprattutto per l’ambiente universitario, popolato in massima parte da persone che provengono da famiglie benestanti e che evidentemente non realizzano quanto possa essere profondo il dramma di migliaia di persone espulse dal loro posto di lavoro, per quanto precario e malpagato possa essere.
Temo che la logica del pensiero unico sia stata introiettata in profondità anche (soprattutto?) nel mondo della ricerca, e stante l’assenza di una visione alternativa temo che la situazione sia destinata a peggiorare ulteriormente.

Pubblicità

Informazioni su Alessandro Ferretti

Ricercatore all'Università di Torino, dipartimento di Fisica. Leggo molto, e per compensare ogni tanto scrivo.
Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...