Esternalizzati, ovvero carne da profitto.

Uno degli obiettivi storici della destra ultraliberista non è quello di eliminare lo stato, bensì di eliminare le proprietà pubbliche e i dipendenti pubblici. L’idea è che il compito del governo non sia quello di fornire servizi, ma di assicurarsi che vengano forniti: lo stato non deve quindi possedere attività produttive o erogare servizi, ma deve privatizzare ogni sua proprietà e trasformarsi in una grande cassaforte che spende il denaro pubblico per appaltare i suoi compiti a società private.

Per giustificare questa impostazione i liberisti tipicamente citano l’innata inefficienza dello stato nel fare qualsiasi cosa e affermano che il privato eroga servizi migliori a costi più bassi.. peccato però che questa sia una falsità in malafede. Tipicamente lo stato spende di più per un servizio esternalizzato rispetto a quanto spenderebbe per erogarlo direttamente. Un esempio: nella mia Università i servizi bibliotecari sono ormai da trent’anni largamente appaltati a cooperative.. nel 2013 ci mettemmo a studiare gli oneri di tale appalto ed emerse che l’ateneo pagava ogni ora lavorata 19,50 euro, mentre se avesse affidato il servizio a personale interno avrebbe speso tra i 16 e i 17 euro all’ora.

Ma allora, perchè esternalizzare? La risposta è clamorosamente semplice: ogni servizio erogato dallo stato non a scopo di lucro è una mancata occasione di profitto privato e di creazione di clientelismi. Gli amministratori pubblici ci guadagnano perchè possono instaurare un rapporto clientelare con i vincitori, e questi ultimi possono spuntare ampi margini di profitto tramite il deterioramento della qualità del servizio e il peggioramento delle condizioni lavorative di chi lo eroga.

La condizione dei lavoratori dei servizi pubblici esternalizzati è quindi tipicamente peggiore di quella dei dipendenti pubblici che svolgono le stesse mansioni. Inoltre, dato che gli appalti scadono e vengono indette nuove gare, periodicamente i lavoratori esternalizzati si ritrovano a rischiare improvvisi peggioramenti delle loro condizioni nel caso che a vincere sia un nuovo soggetto affamato di profitti. Esiste certo la clausola sociale, che obbliga i nuovi vincitori ad assumere i dipendenti della cooperativa perdente, ma se il subentrante vuole disfarsi dei vecchi lavoratori (che magari avevano stipendi relativamente elevati a causa dell’anzianità) ci sono mille metodi: ad esempio, cambiare le loro sedi di lavoro, e/o ridurre/frammentare l’orario al punto da rendere la loro vita impossibile e spingerli alle dimissioni.

Ed è qui che arriviamo al presente: nonostante le richieste dei lavoratori, sostenute da un partecipato sciopero a fine marzo scorso, l’Università di Torino ha deciso di non avvalersi della facoltà di prorogare per tre anni l’appalto dei servizi bibliotecari e quindi indice una nuova gara, precipitando di nuovo nell’angoscia decine di persone già fortemente provate da decenni di sostanziale precarietà e insicurezza.
Non solo: quando i lavoratori hanno reagito alla decisione dell’ateneo con una raccolta firme, l’ateneo ha VIETATO di tenere i fogli di raccolta firme presso le postazioni di lavoro degli esternalizzati, in un (francamente penoso) tentativo di soffocare le proteste, obbligando i lavoratori a raccogliere le firme online.

Dato che l’ateneo ora rifiuta addirittura di interloquire con le rappresentanze sindacali dei bibliotecari esternalizzati, questi ultimi hanno deciso di indire per domani mattina uno sciopero di quattro ore (con le ovvie e dolorose rinunce allo stipendio).

Vi racconto tutto questo per chiedervi due cose: innanzitutto, di esprimere solidarietà alla lotta dei lavoratori firmando la petizione che trovate a questo link (30 secondi netti di impegno totale):
Inoltre, se siete a Torino e dintorni, vi invito a partecipare di persona domattina al presidio: alle 9 davanti a Palazzo Nuovo. Ci vediamo lì?

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Informazioni su Alessandro Ferretti

Ricercatore all'Università di Torino, dipartimento di Fisica. Leggo molto, e per compensare ogni tanto scrivo.
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