L’efficacia del 41 bis nella lotta alla mafia

Il caso Cospito ha riacceso l’attenzione sul 41 bis: molti commentatori hanno ribadito che il carcere duro è indispensabile per contrastare le organizzazioni mafiose. Sono andato quindi a vedermi qualche dato sul 41 bis per provare a comprenderne l’efficacia.

Innanzitutto, i numeri dei detenuti. Dal 1992 al 2022 sono lentamente aumentati, da 498 a 729. Altro dato: in trent’anni, ben 2735 persone sono state inviate al 41bis. Tra queste, solo 262 (meno di una su 10) hanno cominciato a collaborare con la giustizia. Negli ultimi sei anni ci sono state in tutto solo 13 collaborazioni: due all’anno, a fronte di oltre 700 detenuti sepolti vivi.

Cosa dicono questi numeri? Stando alle motivazioni ufficiali del 41 bis, i detenuti in tale regime non sono “manovali” ma dirigenti delle organizzazioni mafiose cui viene impedito di comunicare con i loro sottoposti in libertà. Gli oltre 700 dirigenti in carcere testimoniano quindi che ci sono migliaia e migliaia di sottoposti liberi, per non parlare dei dirigenti non catturati: si direbbe quindi che il carcere duro non abbia stroncato la mafia.

Anche il dato sui collaboratori di giustizia mostra la forza della mafia. Il regime 41bis è, a detta di tutti, estremamente duro: eppure, oltre il 90% di chi l’ha subito ha preferito vivere per almeno quattro anni da sepolto vivo pur di non collaborare. Le motivazioni aono piuttosto ovvie: se si mantiene l’omertà, la mafia si prenderà cura del benessere economico della famiglia del detenuto, mentre se la si infrange la mafia si prenderà cura di esercitare vendette.. ma entrambe le motivazioni mostrano che la mafia è tutt’altro che sconfitta, anzi è in grado di esercitare potere e influenza.

Ma se neanche un regime inumano come il 41bis riesce a stroncare il fenomeno, cosa si può fare? Nel desolante clima politico attuale, è facile sentirsi rispondere che bisogna ulteriormente inasprire la repressione: peccato che ci sia ben poco margine di inasprimento, se non si vogliono instaurare torture di stato o pena capitale. E quindi?

Forse dovremmo riesumare il vilipeso pensiero di sinistra, che individua nelle condizioni economiche e sociali un potente determinante nella genesi della criminalità. Non è un caso se le mafie prosperano principalmente nel Mezzogiorno, dove l’assenza di lavori dignitosi e prospettive di sviluppo genera un amplissimo bacino di potenziali reclute

Non solo: bisogna considerare che le mafie hanno fonti di reddito garantite grazie alle leggi dello stato. Mentre moltissimi paesi occidentali hanno legalizzato la cannabis e applicano politiche di riduzione del danno per le droghe “pesanti”, da noi vigono ancora divieti assoluti e indiscriminati che creano un enorme mercato illegale dal quale le mafie traggono giganteschi profitti. Anche la prostituzione e la criminalizzazione dell’immigrazione generano mercati illegali e conseguenti profitti (e potere) per le organizzazioni mafiose.

Per combattere davvero le mafie è necessario un miglioramento delle condizioni socio-economiche del Sud. In questo senso, la guerra al reddito di cittadinanza non è un regalo solo per tanti datori di lavoro che sfruttano i lavoratori, ma anche per i mafiosi. Allo stesso modo una revisione della legislazione sulla droga, sulla prostituzione e sull’immigrazione avrebbe effetti sicuramente positivi.

Ovviamente, nel dibattito vacuo promosso dai politici e dai media nostrani non c’è neanche l’ombra di queste considerazioni. I benpensanti di destra e di sinistra hanno ormai assimilato la logica hobbesiana della repressione come unico argine alla barbarie. In questo contesto, Alfredo Cospito è un granello di sabbia in un ingranaggio mortale: il rischio che ne venga stritolato è, purtroppo, molto alto.


Fonti sui numeri:
https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/anno_giudiziario2022_relazione_amministrazione2021.pdf
https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/anno_giudiziario2023_relazione_amministrazione2022.pdf

https://www.maurizioturco.it/dossier/41bis_dossier/

Informazioni su Alessandro Ferretti

Ricercatore all'Università di Torino, dipartimento di Fisica. Leggo molto, e per compensare ogni tanto scrivo.
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